Philipp Cluver, 1659
Corsica e Sardegna sono due isole così vicine da poter essere considerate un arcipelago. In realtà durante l’età contemporanea le isole sorelle, come spesso vengono definite, hanno avuto una relazione difficile, a causa del processo di costruzione nazionale della Francia e dell’Italia e delle difficili relazioni tra questi due stati. Nonostante la breve distanza, le Bocche di Bonifacio hanno separato sardi e corsi, tagliando quei legami che esistevano tra le due rive delle Bocche, oggi ancora evidenti nella lingua comune parlata nella Corsica meridionale e in Gallura.
Allo stesso tempo, sardi e corsi hanno cercato di stabilire delle relazioni, soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale, ma hanno dovuto fare i conti con la resistenza dei rispettivi governi centrali, ed è solo recentemente che, grazie alle istituzioni europee e la volontà dei due governi regionali, la collaborazione tra le due isole sembra progredire.
Nel 2019, come ricercatore dell’Università di Corsica, mi sono occupato di ricostruire questi tentativi, pubblicando i risultati in diversi articoli in inglese. Questo è il riassunto, in due puntate, di quelle ricerche.
Allo stesso tempo, sardi e corsi hanno cercato di stabilire delle relazioni, soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale, ma hanno dovuto fare i conti con la resistenza dei rispettivi governi centrali, ed è solo recentemente che, grazie alle istituzioni europee e la volontà dei due governi regionali, la collaborazione tra le due isole sembra progredire.
Nel 2019, come ricercatore dell’Università di Corsica, mi sono occupato di ricostruire questi tentativi, pubblicando i risultati in diversi articoli in inglese. Questo è il riassunto, in due puntate, di quelle ricerche.
Une relation ancienne
Come ben saputo, durante la dominazione romana la Corsica e Sardegna formavano parte della stessa provincia, ma alla caduta dell’impero seguirono un cammino differente e, dopo una lunga guerra tra pisani, genovesi e catalani durata dal XIII al XV secolo, la Sardegna rimase in mano a questi, mentre la Corsica in quelle di Genova. La Dominante e l’Impero spagnolo erano alleati, e pertanto la frontiera era permeabile, e la situazione rimase così fino al secolo XVIII, quando le tre guerre dinastiche che caratterizzano il periodo (successione spagnola, austriaca e polacca) e la Rivoluzione Corsa trasformarono radicalmente la situazione geopolitica nel Mediterraneo occidentale.
Durante il 1700, la Sardegna venne associata ai Savoia, mentre la Corsica divenne una dipendenza francese, e le Bocche si trasformano sempre di più in una frontiera calda. È in questo contesto che, nel 1861, il Re di Sardegna Vittorio Emanuele II si proclama monarca di tutt’Italia, ed è partire da quel momento che la relazione tra sardi e corsi cambia definitivamente.
Infatti, a parte i primi decenni posteriori all’unificazione, le relazioni tra Francia e Italia si deteriorarono, e in più il paese transalpino occupava agli occhi dei nazionalisti più radicali, le terre irredente di Nizza, Savoia e Corsica. La rivendicazione della Corsica fu un elemento importante della politica estera, innanzitutto durante i governi di Francesco Crisp i (tra il 1887-1891, e dal 1893 al 1896), e ancor più durante la dittatura di Benito Mussolini (1922-1945), quando la propaganda irredentista si fece intensa e l’isola fu occupata.
In questo periodo, nonostante i progressi tecnici nel campo della navigazione avessero creato le premesse per una più stabile relazione, in realtà le Bocche di Bonifacio si trasformarono in una frontiera quasi impenetrabile, fino a che le relazioni italo-francesi non si fecero più cordiali nel secondo dopoguerra. È in questo contesto che, tra molte difficoltà, Sardi e Corsi cercano di stabilire una collaborazione, nel campo dell’economia e del commercio.
Durante il 1700, la Sardegna venne associata ai Savoia, mentre la Corsica divenne una dipendenza francese, e le Bocche si trasformano sempre di più in una frontiera calda. È in questo contesto che, nel 1861, il Re di Sardegna Vittorio Emanuele II si proclama monarca di tutt’Italia, ed è partire da quel momento che la relazione tra sardi e corsi cambia definitivamente.
Infatti, a parte i primi decenni posteriori all’unificazione, le relazioni tra Francia e Italia si deteriorarono, e in più il paese transalpino occupava agli occhi dei nazionalisti più radicali, le terre irredente di Nizza, Savoia e Corsica. La rivendicazione della Corsica fu un elemento importante della politica estera, innanzitutto durante i governi di Francesco Crisp i (tra il 1887-1891, e dal 1893 al 1896), e ancor più durante la dittatura di Benito Mussolini (1922-1945), quando la propaganda irredentista si fece intensa e l’isola fu occupata.
In questo periodo, nonostante i progressi tecnici nel campo della navigazione avessero creato le premesse per una più stabile relazione, in realtà le Bocche di Bonifacio si trasformarono in una frontiera quasi impenetrabile, fino a che le relazioni italo-francesi non si fecero più cordiali nel secondo dopoguerra. È in questo contesto che, tra molte difficoltà, Sardi e Corsi cercano di stabilire una collaborazione, nel campo dell’economia e del commercio.
Reprise de contact
Nel 1948 alla Sardegna venne riconosciuto lo status Regione Autonoma a Statuto Speciale, sancito dalla Costituzione della Repubblica Italiana, mentre la Corsica non venne nemmeno considerata una regione insulare. In un tale contesto, quindi, era impensabile poter avviare una collaborazione istituzionale, e ad assumere le prime iniziative furono la Camera di Commercio, Industria e Artigianato di Sassari e la Chambre de Commerce et d’Industrie d’Ajaccio-Sartène. I rispettivi presidenti, Giuseppe Passino ed Amedeo Brancaleoni, dimostrarono un gran entusiasmo, collaborando fino alla fine degli anni sessanta.
I primi veri contatti iniziarono nel 1950, quando una delegazione del Rotary Club di Sassari, nella quale vi erano l’architetto Antonio Simon Mossa e l’economista Gavino Alivia, visitò la Corsica, mentre l’anno dopo furono i rotariani corsi a recarsi in Sardegna. Simon Mossa, nel suo resoconto su La Nuova Sardegna, parlava della storica possibilità di rompere il «reciproco quanto artificioso isolamento millenario», sottolineando come le relazioni commerciali avrebbero favorito lo sviluppo economico.
Il principale promotore dell’iniziativa era Alivia, il più eminente tra gli economisti sardi, e allora presidente della Banca Popolare di Sassari. Alivia non pensava solamente di stimolare il commercio e favorire il turismo, ma parlava d’integrare le due economie nel settore energetico, dato che la Corsica, ricca d’acqua, avrebbe potuto produrre l’energia che, in una Sardegna con scarse risorse idriche, era necessaria.
Per Alivia la prima grande difficoltà per l’economia erano i collegamenti tra le due isole, quasi inesistenti in quel momento, e non l’isolamento dal continente. L’economista affermava che il miglioramento dei collegamenti avrebbe garantito il riallacciarsi dei rapporti commerciali, favorendo anche il collegamento con il continente, sia europeo che africano.
Alivia affermava come la Sardegna aveva conosciuto «una sola, brevissima era di prosperità: quella intercorsa tra il 1860 e il 1887», cioè quando le relazioni commerciali italo-francesi erano impostate sul liberoscambismo. Basandosi su questa certezza, l’economista sosteneva che «le due isole unite, infatti, non si sommano: si integrano. Ossia moltiplicano il loro valore. Se anche ci limitiamo a considerare soltanto il problema economico, quello cioè della piena valorizzazione delle due isole, salta agli occhi di qualunque studioso della storia economica sarda e corsa, che né l’Italia ha potuto, da sola, valorizzare la sua patriottica Sardegna, né la Francia la sua fedele isola napoleonica».
Lo studioso sardo era convinto che l’integrazione delle due economie avrebbe portato al miglioramento delle condizioni economiche e sociali, rompendo l’isolamento dal continente e favorendo lo sviluppo economico. Con collegamenti fluidi, inoltre, potevano sviluppare un unico mercato turistico, in grado di attrarre non solo italiani e francesi, ma anche visitatori da tutta l’Europa.
I primi veri contatti iniziarono nel 1950, quando una delegazione del Rotary Club di Sassari, nella quale vi erano l’architetto Antonio Simon Mossa e l’economista Gavino Alivia, visitò la Corsica, mentre l’anno dopo furono i rotariani corsi a recarsi in Sardegna. Simon Mossa, nel suo resoconto su La Nuova Sardegna, parlava della storica possibilità di rompere il «reciproco quanto artificioso isolamento millenario», sottolineando come le relazioni commerciali avrebbero favorito lo sviluppo economico.
Il principale promotore dell’iniziativa era Alivia, il più eminente tra gli economisti sardi, e allora presidente della Banca Popolare di Sassari. Alivia non pensava solamente di stimolare il commercio e favorire il turismo, ma parlava d’integrare le due economie nel settore energetico, dato che la Corsica, ricca d’acqua, avrebbe potuto produrre l’energia che, in una Sardegna con scarse risorse idriche, era necessaria.
Per Alivia la prima grande difficoltà per l’economia erano i collegamenti tra le due isole, quasi inesistenti in quel momento, e non l’isolamento dal continente. L’economista affermava che il miglioramento dei collegamenti avrebbe garantito il riallacciarsi dei rapporti commerciali, favorendo anche il collegamento con il continente, sia europeo che africano.
Alivia affermava come la Sardegna aveva conosciuto «una sola, brevissima era di prosperità: quella intercorsa tra il 1860 e il 1887», cioè quando le relazioni commerciali italo-francesi erano impostate sul liberoscambismo. Basandosi su questa certezza, l’economista sosteneva che «le due isole unite, infatti, non si sommano: si integrano. Ossia moltiplicano il loro valore. Se anche ci limitiamo a considerare soltanto il problema economico, quello cioè della piena valorizzazione delle due isole, salta agli occhi di qualunque studioso della storia economica sarda e corsa, che né l’Italia ha potuto, da sola, valorizzare la sua patriottica Sardegna, né la Francia la sua fedele isola napoleonica».
Lo studioso sardo era convinto che l’integrazione delle due economie avrebbe portato al miglioramento delle condizioni economiche e sociali, rompendo l’isolamento dal continente e favorendo lo sviluppo economico. Con collegamenti fluidi, inoltre, potevano sviluppare un unico mercato turistico, in grado di attrarre non solo italiani e francesi, ma anche visitatori da tutta l’Europa.
La question du transport
Il campo più promettente era considerato quello turistico, settore nel quale la Corsica era allora considerata, da parte sarda, un modello da imitare. L’idea era semplice: attrare i turisti che soggiornavano in Corsica a visitare anche la Sardegna, e viceversa.
Ma i problemi nei collegamenti erano evidenti: l’unico mezzo che univa le due isole era un traghetto della compagnia di navigazione italiana Tirrenia, che dalla Maddalena arrivava a Bonifacio, passando per Palau e Santa Teresa. Il mezzo effettuava poche corse al giorno, era un piccolo scafo del 1910 che, al massimo, poteva trasportare due autovetture. I porti di Bonifacio e Santa Teresa Gallura, inoltre, erano due budelli angusti, con poco spazio per effettuare le operazioni di carico e scarico.
Ma soprattutto, passare la frontiera comportava lunghe trafile burocratiche, e così, quella che poteva essere una piacevole escursione, spesso si trasformava in un sogno frustrato. La soluzione arrivò nel 1955, quando fu esteso alle Bocche di Bonifacio l’accordo tra Francia e Italia che consentiva ai lavoratori transfrontalieri e ai turisti di attraversare il confine alpino con un lasciapassare.
È importante notare come ci siano voluti ben due anni per estendere l’accordo alla frontiera sardo-corsa, a causa delle resistenze da parte delle istituzioni francesi. Da una parte, il timore era che i corsi, visitando la Sardegna, avessero la sensazione che Roma stava trattando molto meglio l’isola sorella di quanto faceva Parigi. Ma dall’altra, si temevano anche la criminalità sarda, allora molto attiva, l’immigrazione clandestina e la propaganda irredentista. I pregiudizi e il ricordo della retorica mussoliniana erano ancora delle forze ben attive contro la possibilità di stabilire delle relazioni stabili.
Fu grazie alle pressioni fatte dalla Regione Sardegna, dal Consolato Italiano a Bastia e dal Prefetto della Corsica — favorevole contro il parere di molti colleghi — che finalmente il Ministero dell’Interno francese accettò la proposta del Governo italiano, approvando in via sperimentale, un accordo transfrontaliero che permettesse il passaggio della frontiera con un lasciapassare. Sia il Prefetto che il Ministro erano convinti che la più avvantaggiata sarebbe stata la Corsica, perché, secondo il Prefetto, «nessun paragone può essere stabilito tra le nostre ricchezze naturali e le località dell’isola vicina».
L’accordo fu trasformato in definitivo, con una cerimonia celebratasi a La Maddalena. A questo proposito, risultano molto significative le preoccupazioni espresse dalle autorità francesi. Queste erano convinte che la firma si sarebbe svolta a Roma, ma il Governo italiano preferiva svolgere la cerimonia in Sardegna o in Corsica, e lasciò al Prefetto l’onore di scegliere la località. Questi, deciso a realizzare la firma in territorio francese, pensò alle isole di Cavallo o Lavezzi, ma quando si accorse che erano disabitate e senza nessun tipo di costruzione, propose La Maddalena. Cioè, un punto intermedio tra Corsica e Sardegna, dove molti degli gli abitanti sono di origine corsa. Questione di etichetta che, ma non secondaria.
L’accordo provocò l’incremento progressivo nel traffico passeggeri e merci, ma non come ci si aspettava. Nonostante i miglioramenti nelle infrastrutture, le difficoltà nei collegamenti non vennero del tutto superate, e i progetti di nuove tratte marittime, o di linee aeree, fallirono.
Inoltre la legislazione di allora impediva alle dogane di Bonifacio e Santa Teresa di “sdoganare” certi prodotti, così alcune delle merci che sbarcavano a Bonifacio dovevano essere trasportate a Bastia o ad Ajaccio, per essere autorizzate a proseguire il viaggio verso la loro destinazione finale. In alcune occasioni, le autorità doganali francesi avrebbero anche negato questa possibilità, obbligando le ditte di import/export a inviare le merci prima a Livorno, e da qui a Bastia. Una situazione paradossale, che si sbloccò solo nel 1967-68, e che rappresentò un limite importante per il commercio.
Ma i problemi nei collegamenti erano evidenti: l’unico mezzo che univa le due isole era un traghetto della compagnia di navigazione italiana Tirrenia, che dalla Maddalena arrivava a Bonifacio, passando per Palau e Santa Teresa. Il mezzo effettuava poche corse al giorno, era un piccolo scafo del 1910 che, al massimo, poteva trasportare due autovetture. I porti di Bonifacio e Santa Teresa Gallura, inoltre, erano due budelli angusti, con poco spazio per effettuare le operazioni di carico e scarico.
Ma soprattutto, passare la frontiera comportava lunghe trafile burocratiche, e così, quella che poteva essere una piacevole escursione, spesso si trasformava in un sogno frustrato. La soluzione arrivò nel 1955, quando fu esteso alle Bocche di Bonifacio l’accordo tra Francia e Italia che consentiva ai lavoratori transfrontalieri e ai turisti di attraversare il confine alpino con un lasciapassare.
È importante notare come ci siano voluti ben due anni per estendere l’accordo alla frontiera sardo-corsa, a causa delle resistenze da parte delle istituzioni francesi. Da una parte, il timore era che i corsi, visitando la Sardegna, avessero la sensazione che Roma stava trattando molto meglio l’isola sorella di quanto faceva Parigi. Ma dall’altra, si temevano anche la criminalità sarda, allora molto attiva, l’immigrazione clandestina e la propaganda irredentista. I pregiudizi e il ricordo della retorica mussoliniana erano ancora delle forze ben attive contro la possibilità di stabilire delle relazioni stabili.
Fu grazie alle pressioni fatte dalla Regione Sardegna, dal Consolato Italiano a Bastia e dal Prefetto della Corsica — favorevole contro il parere di molti colleghi — che finalmente il Ministero dell’Interno francese accettò la proposta del Governo italiano, approvando in via sperimentale, un accordo transfrontaliero che permettesse il passaggio della frontiera con un lasciapassare. Sia il Prefetto che il Ministro erano convinti che la più avvantaggiata sarebbe stata la Corsica, perché, secondo il Prefetto, «nessun paragone può essere stabilito tra le nostre ricchezze naturali e le località dell’isola vicina».
L’accordo fu trasformato in definitivo, con una cerimonia celebratasi a La Maddalena. A questo proposito, risultano molto significative le preoccupazioni espresse dalle autorità francesi. Queste erano convinte che la firma si sarebbe svolta a Roma, ma il Governo italiano preferiva svolgere la cerimonia in Sardegna o in Corsica, e lasciò al Prefetto l’onore di scegliere la località. Questi, deciso a realizzare la firma in territorio francese, pensò alle isole di Cavallo o Lavezzi, ma quando si accorse che erano disabitate e senza nessun tipo di costruzione, propose La Maddalena. Cioè, un punto intermedio tra Corsica e Sardegna, dove molti degli gli abitanti sono di origine corsa. Questione di etichetta che, ma non secondaria.
L’accordo provocò l’incremento progressivo nel traffico passeggeri e merci, ma non come ci si aspettava. Nonostante i miglioramenti nelle infrastrutture, le difficoltà nei collegamenti non vennero del tutto superate, e i progetti di nuove tratte marittime, o di linee aeree, fallirono.
Inoltre la legislazione di allora impediva alle dogane di Bonifacio e Santa Teresa di “sdoganare” certi prodotti, così alcune delle merci che sbarcavano a Bonifacio dovevano essere trasportate a Bastia o ad Ajaccio, per essere autorizzate a proseguire il viaggio verso la loro destinazione finale. In alcune occasioni, le autorità doganali francesi avrebbero anche negato questa possibilità, obbligando le ditte di import/export a inviare le merci prima a Livorno, e da qui a Bastia. Una situazione paradossale, che si sbloccò solo nel 1967-68, e che rappresentò un limite importante per il commercio.
L'échec de l'institutionnalisation de la relation Corse-Sardaigne
La ripresa delle relazioni era promossa soprattutto da attori economici e dalla società civile, e dipendeva molto dai legami personali. Per dare un aspetto più istituzionale a questi sforzi, nel 1963 il sindaco di Ajaccio, Antoine Serafini, propose la creazione di una “conferenza sardo-corsa”, durante la visita in Corsica di una delegazione di imprenditori, operatori turistici e politici sardi.
Serafini era sensibile al discorso regionalista e alla cooperazione sardocorsa, e addirittura aveva dichiarato alla stampa che il problema dell’isola era che non aveva gli stessi poteri regionali della Sardegna. Ma nonostante tutto, la “conferenza” non funzionò mai, e addirittura la sua prima riunione si tenne nel 1968, a causa di vari contrattempi tra cui la morte improvvisa di Serafini, avvenuta nel 1964.
Allora furono stabiliti degli accordi commerciali, il più importante dei quali era l’importazione di materiale da costruzione dalla Sardegna, e quello di legname dalla Corsica, ma diversi fattori li resero inutili. Secondo la camera di commercio di Sassari, i produttori di materiale da costruzione italiani e francesi avevano un tacito accordo per non farsi concorrenza nelle zone di frontiera, e il governo francese aveva un atteggiamento protezionista. Ma esistevano anche problemi strutturali, come la ristrettezza del mercato corso.
Ma il vero problema era che gli interessi delle istituzioni centrali erano diversi da quelli isolani. Ciò è evidente per quanto riguarda la Corsica, dove le istituzioni locali avevano dei poteri molti limitati rispetto a quelli della Regione Sardegna. Infatti, mentre i politici corsi lavoravano per rafforzare le relazioni, le autorità centrali remavano contro, come avvenne durante la visita ufficiale in Sardegna, nel 1965.
La delegazione corsa era formata per il prefetto Marcel Turon, e dai parlamentari e membri del Conseil Général Jean Zuccarelli, François Giacobbi e Auguste-Cincinnatus Taviani. Il viaggio era parte di un tour in Sicilia e Italia meridionale, per studiare il modello italiano in preparazione della riforma regionalista promossa dal governo centrale. Il prefetto era preoccupato che i tre politici, vistando l’isola, si sarebbero convinti che la soluzione per la Corsica era l’autonomia regionale, e cercò di rimandare il viaggio con ogni scusa.
Oltre al solito irredentismo, Turon sfruttò abilmente le tensioni create dalla Carbo-Sarda, parlando di un clima ostile alle relazioni tra le due isole. Alla fine, però, il viaggio si fece e la delegazione fu tenuta sotto osservazione dai servizi d’informazione francesi, che segnalarono come Giacobbi e Taviani, al loro ritorno, avevano espresso la loro ammirazione per quanto si stava facendo in Sardegna, auspicando addirittura uno status simile per la Corsica.
Ma i servizi citavano direttamente anche Max Simeoni e Paul-Marc Seta, preoccupati di come potessero usare questi argomenti per accusare lo stato francese di aver abbandonato l’isola. Le autorità erano preoccupate per l’ammirazione mostrata dalla delegazione, che scrisse nel suo documento finale che i sardi “non saranno più giudicati per gli emigrati che vengono in Corsica in cerca di lavoro”. Una frase che metteva da parte i pregiudizi allora esistenti, sugli abitanti dell’isola vicina.
Serafini era sensibile al discorso regionalista e alla cooperazione sardocorsa, e addirittura aveva dichiarato alla stampa che il problema dell’isola era che non aveva gli stessi poteri regionali della Sardegna. Ma nonostante tutto, la “conferenza” non funzionò mai, e addirittura la sua prima riunione si tenne nel 1968, a causa di vari contrattempi tra cui la morte improvvisa di Serafini, avvenuta nel 1964.
Allora furono stabiliti degli accordi commerciali, il più importante dei quali era l’importazione di materiale da costruzione dalla Sardegna, e quello di legname dalla Corsica, ma diversi fattori li resero inutili. Secondo la camera di commercio di Sassari, i produttori di materiale da costruzione italiani e francesi avevano un tacito accordo per non farsi concorrenza nelle zone di frontiera, e il governo francese aveva un atteggiamento protezionista. Ma esistevano anche problemi strutturali, come la ristrettezza del mercato corso.
Ma il vero problema era che gli interessi delle istituzioni centrali erano diversi da quelli isolani. Ciò è evidente per quanto riguarda la Corsica, dove le istituzioni locali avevano dei poteri molti limitati rispetto a quelli della Regione Sardegna. Infatti, mentre i politici corsi lavoravano per rafforzare le relazioni, le autorità centrali remavano contro, come avvenne durante la visita ufficiale in Sardegna, nel 1965.
La delegazione corsa era formata per il prefetto Marcel Turon, e dai parlamentari e membri del Conseil Général Jean Zuccarelli, François Giacobbi e Auguste-Cincinnatus Taviani. Il viaggio era parte di un tour in Sicilia e Italia meridionale, per studiare il modello italiano in preparazione della riforma regionalista promossa dal governo centrale. Il prefetto era preoccupato che i tre politici, vistando l’isola, si sarebbero convinti che la soluzione per la Corsica era l’autonomia regionale, e cercò di rimandare il viaggio con ogni scusa.
Oltre al solito irredentismo, Turon sfruttò abilmente le tensioni create dalla Carbo-Sarda, parlando di un clima ostile alle relazioni tra le due isole. Alla fine, però, il viaggio si fece e la delegazione fu tenuta sotto osservazione dai servizi d’informazione francesi, che segnalarono come Giacobbi e Taviani, al loro ritorno, avevano espresso la loro ammirazione per quanto si stava facendo in Sardegna, auspicando addirittura uno status simile per la Corsica.
Ma i servizi citavano direttamente anche Max Simeoni e Paul-Marc Seta, preoccupati di come potessero usare questi argomenti per accusare lo stato francese di aver abbandonato l’isola. Le autorità erano preoccupate per l’ammirazione mostrata dalla delegazione, che scrisse nel suo documento finale che i sardi “non saranno più giudicati per gli emigrati che vengono in Corsica in cerca di lavoro”. Una frase che metteva da parte i pregiudizi allora esistenti, sugli abitanti dell’isola vicina.
L’interruption des relations
L’atteggiamento del prefetto e delle autorità centrali era molto ambiguo: mentre in pubblico si mostravano favorevoli, in privato erano più prudenti. Le preoccupazioni erano di ordine economico e politico. Si temeva che la Sardegna finisse per eclissare la Corsica, a causa della gran quantità di posti letto disponibili, dell’esistenza di una mano d’opera specializzata, e di prezzi inferiori.
Quando nel 1954 i francesi accettarono di favorire la circolazione dei turisti tra le due isole, lo fecero sicuri della superiorità del settore in Corsica, ma quando videro che l’impatto degli investimenti statali e privati avevano trasformato la Sardegna, si preoccuparono. Così, uno degli elementi indicati per favorire la relazione economica tra le due isole, ebbe quasi l’effetto contrario. Le due isole non erano complementari, ma rivali.
Ma l’elemento che quasi interruppe le relazioni fu il contesto politico in Corsica. Abbiamo visto come le autorità francesi erano molto preoccupate dalla possibilità che quanto concesso dall’Italia alla Sardegna dopo la Seconda guerra mondiale, cioè l’autonomia regionale e gli investimenti statali, potesse favorire l’emergenza di movimenti di contestazione, autonomisti o nazionalisti.
Con la radicalizzazione della situazione in Corsica negli anni ’70, ma anche con l’emergere di movimenti indipendentisti in Sardegna, le preoccupazioni divennero maggiori e furono condivise con le autorità italiane. In questo periodo, e fino ai primi anni ’80, le relazioni tra le isole sorelle furono assenti dall’agenda politica, e dal dibattito pubblico, e riprenderanno solo dopo che Parigi trasferì alcune competenze all’isola, nel 1982.
Quando nel 1954 i francesi accettarono di favorire la circolazione dei turisti tra le due isole, lo fecero sicuri della superiorità del settore in Corsica, ma quando videro che l’impatto degli investimenti statali e privati avevano trasformato la Sardegna, si preoccuparono. Così, uno degli elementi indicati per favorire la relazione economica tra le due isole, ebbe quasi l’effetto contrario. Le due isole non erano complementari, ma rivali.
Ma l’elemento che quasi interruppe le relazioni fu il contesto politico in Corsica. Abbiamo visto come le autorità francesi erano molto preoccupate dalla possibilità che quanto concesso dall’Italia alla Sardegna dopo la Seconda guerra mondiale, cioè l’autonomia regionale e gli investimenti statali, potesse favorire l’emergenza di movimenti di contestazione, autonomisti o nazionalisti.
Con la radicalizzazione della situazione in Corsica negli anni ’70, ma anche con l’emergere di movimenti indipendentisti in Sardegna, le preoccupazioni divennero maggiori e furono condivise con le autorità italiane. In questo periodo, e fino ai primi anni ’80, le relazioni tra le isole sorelle furono assenti dall’agenda politica, e dal dibattito pubblico, e riprenderanno solo dopo che Parigi trasferì alcune competenze all’isola, nel 1982.